Le produzioni estere sono sempre di più ma vivere di cinema nella Svizzera italiana è tutt’altro che facile Le voci da un set a budget ridotto.
Di Davide Illarietti – Foto di Chiara Zocchetti
Signori, giriamo tra quarantacinque minuti». A inizio novembre Villa Heleneum a Lugano si è trasformata per tre giorni ma nessuno se ne è accorto, a parte qualche smarrito turista («Was ist passiert?») che si è trovato a sorpresa nel caotico set di un film.
«Lei è una comparsa?» «Nein, ich bin hier für die Ausstellung».
«Prego, di qua» Il caos deve essere una caratteristica intrinseca dei set: in questo Hollywood o Bollywood non sono diverse dal Ticino, che pure è una location apprezzata per l’efficienza. Per il resto il cinema nostrano (Ticinollywood?) è a parte: il suo futuro potrebbe somigliare a un grande kolossal americano – chi può dirlo – oppure al set che abbiamo visitato a Villa Heleneum. Ma si spera di no.
Grandi e piccoli
La troupe della regista Agnese Làposi è già in sé uno spettacolo: da applaudire. Piccola ma agguerrita, magistrale nell’arte difficilissima ( l’ottava, dopo il cinema) di arrangiarsi con quello che c’è. Girano un docu-film sui «Fisici » di Dürrenmatt – da poco andato in scena al LAC, regia di Igor Horvat – e il budget è limitato. «In effetti è più vicino a quello di un documentario che di un film» spiega la regista luganese. Fuori dalla vetrata il lago brilla tranquillo, dentro è un subbuglio di preparativi.
«Mezz’ora all’inizio delle riprese» La villa-museo sul Ceresio è solo una delle location ticinesi finite negli ultimi anni sotto i riflettori anche internazionali. La diga della Verzasca (007-Goldeneye), via Nassa (Le conseguenze dell’amore) fino agli esterni del LAC, dove di recente è stata girata una celebre sparatoria (Citadel:Diana) sono alcuni dei «fiori all’occhiello» con cui il Cantone tenta di attirare le grandi produzioni internazionali, contese per il loro impatto d’immagine e non solo.
All’ombra delle «star» però, sul territorio sono emersi anche tanti cineasti locali – e molti stanno emergendo – che sognano di vivere di cinema e spesso ci riescono ma non senza difficoltà.
«Vietato sforare»
Nello scantinato della villa adattato a ufficio Làposi distribuisce fogli con la scaletta. È fittissima.
Ore 10.45: installazione materiale 11.15: vestizione attore 11.30: pick-up attrice 11.30: riprese giardino 11.45: vestizione attrice…
E via dicendo. La corsa contro il tempo è effetto dell’organizzazione (il tempo è denaro) ma anche un atto di gratitudine. La villa-museo è stata concessa pro bono – «per l’arte» – dalla Fondazione Bally. Lo stesso vale per un battello gentilmente offerto dalla Società di Navigazione di Lugano, su cui verranno girate le riprese dal lago.
«Non possiamo sforare con i tempi, è doveroso considerata la solidarietà ricevuta» dice il co-produttore Stefano Mosimann. È sdraiato in terra e sta montando un divano nella stanza dove l’Ispettore (Igor Horvat) incontrerà la proprietaria della clinica (Giorgia Senesi). Anche gli attori sono presi in prestito (dallo spettacolo al LAC) e si preparano nel camerino allestito nelle mansarde. Il co-produttore e regista Olmo Cerri fa anche da assistente e scandisce a voce alta – orologio alla mano – il tempo che corre.
«Quindici minuti alle riprese!» Intorno è tutto un via vai di persone che sono qualcosa e fanno anche qualcos’altro. Il direttore della fotografia è anche cameraman. Il macchinista è anche elettricista. La scenografa monta il materiale di scena (anch’esso in prestito). L’auto usata per scortare gli attori è quella della regista. Il cameraman si è offerto di ospitare a casa propria il tecnico del suono («poi ha preferito dormire da amici»). Insomma ci si arrangia e sorprendentemente le cose, alla fine, quasi per magia funzionano.
«Altro che Hollywood»
È anche questa la magia del cinema. Dietro a tre giorni di riprese ci sono mesi di preparativi: più ci si avvicina al «ciack» più la velocità aumenta e anche lo stress, spiega Cerri guardando il cronometro.
«Cinque minuti!».
Quello che corre più di tutti – giustamente – è il «runner» Andrea, allievo 19.enne alla scuola Cesma di Bioggio visibilmente emozionato. Sale e scende dalle cantine trasportando sgabelli e tavolini – aiutato dalla Domenica – e confessa che di lavoro vorrebbe fare il tecnico audio- video. Questo è il suo primo set.
«Sto facendo uno stage-collaborazione, non so bene come definirlo. Mi è andata bene perché è una produzione piccola ed è più facile orientarmi».
Quello di lavorare «da grandi» nel cinema è un po’ il sogno di tutti a Ticinollywood: intorno ad Andrea ci sono tanti esempi di come ciò sia possibile ma difficile. Il co-produttore Mosimann è arrivato sul set su una vecchia ma resistente Renault stracarica di materiali, anche sul tetto. «Lavoriamo spesso con mezzi molto limitati» dice sorridente mentre le riprese finalmente iniziano e nel giardino è sceso un silenzio imposto (Cerri: «Spegnete i cellulari!») e quasi surreale.
La minaccia dei tagli
L’ispettore di Dürrenmatt-Làposi bussa alla porta della clinica e dice la prima battuta «buongiorno» – e intanto dietro le quinte circolano voci sui possibili tagli ai finanziamenti pubblici. «Già adesso vivere di questo mestiere in Ticino non è facile» sussurra Mosimann per non disturbare l’audio. «Si lavora a concorsi e magari si prepara per mesi un progetto che poi non viene selezionato».
Anche lui ha due mestieri, come molte persone sul set: lavora come macchinista in proprio mentre per l’associazione REC, fondata nel 2012 a Lugano assieme ad altri professionisti, si occupa di gestire i budget e recupera finanziamenti per progetti come quello di Làposi.
Non è un mestiere facile. «Senza i contributi pubblici e il ruolo fondamentale della Radio televisione, che co-finanzia quasi tutte le produzioni realizzate in Ticino e allo stesso tempo crea lavoro, anche indirettamente, il settore entrerebbe in crisi» prevede Mosimann. «Molti di noi dovrebbero emigrare oppure cambiare mestiere».
Le prospettive di un taglio al canone radio.tv non scoraggiano i sogni della troupe a Villa Heleneum e del giovane «runner», che ora si riposa mentre gli altri filmano. Ha capito che la scatola magica non funziona se non ci si crede: la passione è quello che muove tutto, dalla cinepresa alle scenografie alla vecchia auto di Mosimann (che diversamente, non si spiega come cammini ancora) all’ispettore Igor Horvat che si muove tra i cipressi del giardino come un malconcio James Bond, ma più affascinante.
Làposi in mezzo a tutto ciò mantiene una calma misteriosa, troppo assorta nelle riprese per preoccuparsi del resto. «Ogni lavoro deve confrontarsi con dei limiti, finanziari o di altro tipo» dice di sfuggita. «L’arte è giocare di volta in volta con questi limiti». Questa volta non sarà un kolossal e non è nemmeno la normalità: ma è magnifico anche così.