150 anni di psichiatria in Ticino: dall’asilo “per i pazzi”, alle lotte per i diritti e la dignità dei pazienti, fino alle sfide dell’ospedale del futuro.

Gli episodi saranno online sul sito della RSI e sulle principali piattaforme di streaming a partire dal 10 ottobre, in occasione della Giornata mondiale della salute mentale. Il podcast verrà presentato in una serata pubblica il venerdì 24 ottobre 2025 a La Filanda di Mendrisio.

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“Ti mandano a Mendrisio”. In Ticino, questa frase ha sempre avuto un significato preciso: il ricovero in psichiatria. Perché Mendrisio, più che una città, per molti ha voluto dire una clinica. Un luogo di confine, sospeso tra cura e reclusione.

In questo podcast vi racconto la storia, anzi, le storie, di questa istituzione. Vicende spesso rimosse, dimenticate. Una storia segnata da sofferenze e abusi, ma anche da trasformazioni profonde, da battaglie per i diritti, da pazienti che diventano protagonisti e da operatrici e operatori, medici e personale sanitario, che hanno lottato per un’altra idea di psichiatria. È la storia di Casvegno. Una piccola, grande rivoluzione.

Un podcast originale di Olmo Cerri, prodotto da Francesca Giorzi per la RSI Radiotelevisione svizzera. Sonorizzazione di Thomas Chiesa e musiche di Giovanni Bedetti.

Realizzato con il sostegno del Club ‘74, della Fondazione Svizzera per la Radio e la Cultura, di JournaFonds e dell’Associazione REC. L’immagine di copertina è una rielaborazione grafica dell’opera di S. Giger dalla Collezione d’Art Brut del Club ’74.

 

Primo episodio: il manicomio

In questo primo episodio vi racconto come (e perché) sono arrivato a Mendrisio. Ma soprattutto vi porto dentro l’epopea incredibile di questa clinica psichiatrica, nata nel lontano 1898 e diventata, nel tempo, un luogo simbolico, carico di storia e di contraddizioni. Sin dalla sua fondazione, qui si sono sperimentate tutte le tecniche di cura che hanno segnato la storia della psichiatria: bagni gelati e bollenti, insulinoterapia, elettroshock, fino alla lobotomia. Pratiche estreme, che hanno lasciato cicatrici profonde nei corpi e nella memoria di molte persone. Perché la psichiatria non è qualcosa che riguarda “gli altri”. Ci illudiamo che sia lontana da noi, che non ci tocchi. Ma basta poco, un evento improvviso, una crisi, una vulnerabilità, e potremmo trovarci anche noi, dall’altra parte.

Secondo episodio: gli intemperanti

All’inizio degli anni ’30, mentre al di là del confine Mussolini consolidava il suo potere, a Casvegno si costruiva un nuovo padiglione: La Valletta. Non era destinato a pazienti psichiatrici in senso stretto, ma a una categoria ben precisa di persone: quelle che vivevano vite considerate “immorali” In questo episodio raccontiamo la storia meno nota, e più inquietante dei ricoveri amministrativi.. In tutta la Svizzera, migliaia di persone perfettamente sane vennero internate contro la loro volontà in strutture come questa. Bastava essere alcolisti, vagabondi, ragazze madri, figli illegittimi. Nessun processo, nessuna colpa da espiare: solo una condotta ritenuta “indecorosa” da leggi e regolamenti ispirati a una rigida morale borghese. Ascolteremo anche la testimonianza di Daniella, che ha vissuto questa realtà sulla propria pelle. Abbandonata da neonata, etichettata fin da subito come “figlia illegittima”, ha attraversato istituzioni, cantoni, e anni di abusi. Una pagina oscura della nostra storia recente, troppo a lungo rimossa.

Terzo episodio: il neuro

A partire dagli anni ’50, qualcosa comincia a muoversi anche dentro le mura del manicomio di Mendrisio. È l’era del boom della chimica: i nuovi farmaci neurolettici iniziano a cambiare il volto della psichiatria. Elettroshock e lobotomia non spariscono, ma la promessa della farmacologia sembra aprire nuovi orizzonti: contenere i sintomi e immaginare una cura meno brutale. Eppure, a Casvegno, le porte restano chiuse e le regole rigide. L’istituzione manicomiale resiste, mentre una nuova generazione di operatori, medici e infermieri giovani e pieni di ideali, comincia a porsi domande scomode. Intanto, altrove, si sperimentano vere rivoluzioni. In Francia nasce la psicoterapia istituzionale, un’idea tanto semplice quanto radicale: non basta curare i pazienti, bisogna trasformare l’intera struttura della cura. In questo fermento entra in scena Ettore Pellandini, giovane di Arbedo con una passione travolgente per il teatro. A Parigi Ettore si immerge nei movimenti artistici e psichiatrici più innovativi del tempo. Diventa collaboratore di Jean Oury, figura centrale della clinica di La Borde, e sperimenta un modo nuovo di stare con la sofferenza mentale, attraverso il teatro, l’arte, la relazione. Ma mentre in Francia l’istituzione viene messa in discussione dalle fondamenta, a Mendrisio il vecchio manicomio è ancora ben saldo. Ci vorrà un punto di contatto, un passaggio di idee, per aprire finalmente anche a Casvegno una breccia nel muro dell’isolamento.

Quarto episodio: il villaggio dei matti

Furono anni di fuoco, quelli in cui Ettore Pellandini arrivò a Casvegno, portando con sé un’idea precisa di cosa significasse occuparsi di salute mentale. Aveva vissuto in prima persona l’esperienza della psicoterapia istituzionale in Francia: un approccio radicale, in cui non si curava solo il paziente, ma l’intera struttura. Ma quello che trovò a Mendrisio era ben lontano da quel modello. È così che nasce il Club ‘74, e fu davvero una piccola rivoluzione. Ma naturalmente, non tutti accolsero con entusiasmo queste novità. Le resistenze erano forti, anche all’interno della clinica. In quegli stessi anni, fuori da Casvegno, cresceva un’altra urgenza di cambiamento. Marco Borghi, giovane avvocato, e Matteo Bellinelli, regista, decisero di raccontare quello che accadeva dentro le mura dell’ospedale. Il loro film, mandato in onda nel 1976, mostrava per la prima volta la quotidianità dei reparti psichiatrici. Quel documentario divenne un punto di svolta. Spinse la politica ad agire. E nacque così la LASP – Legge sull’Assistenza Sociopsichiatrica. Un esempio nel suo genere in Europa, la LASP introdusse un principio rivoluzionario: la contrattualità terapeutica, un accordo tra curato e curante sulle strategie di cura. 

Quinto episodio: Curami!

Gli anni ’80 a Casvegno sono un’epoca di fermento e di transizione. Con l’introduzione della nuova Legge, non è più possibile gestire l’ospedale come un tempo. La nascita del Club ’74 e l’istituzione del servizio di socioterapia avevano già aperto una strada. Ma il cambiamento non è facile da realizzare. Come trasformare la “dittatura medica” che vigeva a Casvegno in una democrazia reale? Una risposta arriva proprio dal basso: dalle assemblee dei pazienti, introdotte dal Club ’74. In questi spazi, pazienti, infermieri e medici si ritrovano per discutere apertamente problemi, conflitti, soluzioni. Luoghi di parola collettiva, in cui le contraddizioni dell’istituzione emergono con forza, ma anche con l’energia per essere affrontate. Perché in fondo, anche gli operatori sono “reclusi”. Ma una delle spinte verso l’apertura arriverà anche da un fronte del tutto inatteso: le nuove politiche neoliberali degli anni ’80, con il loro invito a ridurre la spesa pubblica. Il vecchio manicomio, con i suoi ricoveri a vita e centinaia di letti, diventa troppo costoso. Nel 1985 nasce l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale, si creano i settori territoriali, i servizi ambulatoriali e i centri diurni. La parola d’ordine è: dimettere. Nascono i primi appartamenti protetti fuori dalla clinica, e la cura esce finalmente dalle mura dell’ospedale. 

Sesto episodio: la fine della contenzione

Non era bastata la nuova legge psichiatrica per cancellare del tutto la pratica della contenzione fisica a Casvegno. Anche nei primi anni Duemila, si registravano ancora troppi casi di persone legate ai letti. La contenzione è traumatica, lascia segni profondi sul piano psicologico e può avere conseguenze fisiche gravissime, soprattutto se prolungata. Spesso, inoltre, alla contenzione si affiancava la somministrazione massiccia di psicofarmaci, rendendo ancora più pesante il carico per chi si trovava a viverla. Non si tratta non solo di un problema sanitario, ma di una grave violazione dei diritti umani. E ancora una volta, il cambiamento non arriva dall’alto, ma da un gruppo di persone che decide di non accettare lo stato delle cose, di incontrarsi, discutere, e immaginare alternative. Nascono così progetti nuovi, pensati per ridurre – e infine superare – la contenzione. Ma c’è un episodio, doloroso, che segna un punto di svolta. Un ragazzo di 27 anni muore a Casvegno mentre si trova legato al letto. Il caso finisce sui giornali, scuote l’opinione pubblica e lascia ferite profonde, anche sul piano legale e istituzionale. È questa, la goccia che fa traboccare il vaso?

Settimo episodio: l’ospedale del futuro

Siamo arrivati all’ultimo episodio di questo podcast, in cui abbiamo raccontato la rivoluzione di Casvegno, o meglio, le sue rivoluzioni. Passi piccoli, a volte impercettibili, verso l’apertura, la democratizzazione, il cambiamento. Abbiamo ascoltato storie di sofferenza, ma anche di resistenza. E di donne e uomini che hanno lottato per un’idea diversa di psichiatria: più giusta, più umana, più vicina alle persone. A Casvegno, negli anni, molte cose sono cambiate. Ma nulla può essere dato per scontato. Ogni diritto conquistato, soprattutto in quest’epoca di nuove barbarie, rischia continuamente di essere rimesso in discussione. Per questo, in questo ultimo episodio, incontriamo chi oggi lavora e dirige questa istituzione. Per capire quali sono le sfide del presente e del futuro. Sono sempre più convinto che parlare di psichiatria sia fondamentale. Perché ci riguarda tutte e tutti. Non è una questione privata. È una questione collettiva. O, forse, comunitaria.