Olmo Cerri racconta la storia dell’architetto e urbanista ticinese, nel film in anteprima venerdì a Mendrisio (Teatro dell’Architettura) e domenica su La2
di Beppe Donadio
“La torre ricoperta da un’edera gigante, e intorno palme e felci di tutti i tipi. In tutte queste fotografie il mio bisnonno è sempre presente, e sempre in primo piano”. È Casa Guidini a Barbengo, così come mostrano gli scatti d’epoca di un album non di meno d’epoca sfogliato da Alessandro Guidini, pronipote di Augusto, architetto e urbanista svizzero la cui storia è riassunta nei poco più di sessanta minuti di ‘Architetto Augusto Guidini – Il castello della memoria’, coproduzione italo-svizzera Rsi/Célestes Images/Verdiana che per regista ha Olmo Cerri. Fulcro del racconto di un uomo profondamente calato nella storia, qui ritratto nei segni tangibili del proprio lavoro e anche nei progetti irrealizzati, è la ristrutturazione della sua casa-studio. «La produttrice di questo documentario, Samanta Gandolfi Branca, è anche proprietaria di questo stabile. Essendo del settore, si è resa conto dell’interesse che avrebbe potuto creare chi l’abitava», spiega Cerri. «Io mi sono calato in tutto questo non sapendo nulla né di architettura, ancor meno di storia dell’architettura. L’avvicinamento è stato complesso ma interessante, cominciato prima dell’inizio dei lavori di cantiere, una tempistica che mi ha dato la possibilità di filmare il contenuto della casa quando ancora era abitata da Arnaldo Guidini, nipote dell’architetto».
Casa Guidini “come un luna park, tra vecchi fucili e sciabole, un mondo fantastico per un bambino”, ricorda il pronipote; «un luogo pieno di scale, piccole stanze, spazi misteriosi», ricorda Cerri, «nel quale ogni singolo cassetto era fonte di testimonianze di Guidini e delle tre generazioni di suoi discendenti». E di quanto l’architetto fosse «persona che riempiva gli spazi, con il suo materiale ma pure con la sua presenza, il suo carisma», è informazione che arriva anche dal nipote Arnaldo, nel film in un’intervista Rsi del 2012, che di Augusto ricorda la figura “mitizzata, sempre presente sin dall’infanzia in una casa in cui tutto parla di lui”. In primis, il ritratto che dominava il salone: “Non un capolavoro di pittura, ma centrato nello sguardo, tanto da far quasi impressione”.
‘Come un luna park, tra vecchi fucili e sciabole, un mondo fantastico per un bambino’
Senso civico
Tra gli studiosi che forniscono il proprio apporto al lavoro di Cerri si alternano Angela Windholz, storica dell’arte e responsabile Biblioteca dell’Accademia di Architettura di Mendrisio; Riccardo Bergossi, ricercatore presso l’Archivio del Moderno, che racconta di un uomo che “non ha paura di vedere nuovi orizzonti, ma che non disdegna la sua piccola Barbengo, dove torna come fosse l’isola di Itaca”; Ornella Selvafolta, storica dell’architettura al Politecnico di Milano a ricordare il Guidini milanese, e Chiara Lumia, specialista in conservazione dei monumenti, appassionata quasi-biografa del protagonista, dal rapporto personale col pronipote. Ma ci sono pure Jörg-Michael Janke e Claudio Andretta, geomanti e sensitivi a zonzo per Casa Guidini a far rilevazioni: «I nuovi proprietari tenevano a una ‘pulizia energetica’ finalizzata a come disporre alcuni spazi nella casa», racconta il regista; «pur distante da questo tipo di discipline, ho trovato la cosa interessante. In senso più filosofico, è evidente come in quel luogo rimanga l’anima di Guidini e come l’intero documentario sia in fondo un’evocazione della memoria dell’architetto, portata in scena da chi l’ha studiato».
Col racconto cronologico del cantiere che scorre parallelo a quello della vita di Guidini, la casa è usata «come pretesto» per scoprire i singoli punti salienti della vita professionale di un uomo dall’innato senso civico. Dote che, insieme alle molte testimonianze ticinesi, Angela Windholz ritrova nel progetto di ricostruzione di Messina dopo il sisma del 1908, occasione di rivalutazione postuma del lavoro dell’architetto: “Guidini viene citato come l’unico che riproponeva la ricostruzione dell’intero fronte antico, che della città era l’immagine. Ciò dimostra che era entrato nella psicologia delle persone: dopo un tale disastro non v’era bisogno soltanto di case nuove, ma di riavere la propria città”. Cerri: «A Guidini premeva conservare la storia in un’epoca in cui tutti correvano a liberarsi del passato. Aveva questa sensibilità che gli permetteva di capirne l’importanza. Lo guidavano ideali forti di Stato, di progresso, di formazione per tutti. Vedeva molto avanti».
Copromotore della prima legge per la tutela dei beni culturali in Ticino, negli anni in cui al restauro delle chiese era richiesta unicità di stile e “imbiancatura a calce” per coprire con il nuovo (lo ricorda Lumia oltre la metà del film), Guidini va controcorrente: il restauro della Cattedrale di San Lorenzo a Lugano, giustamente preservata nei propri contenuti di epoche diverse, è vista come un affronto, ed è forse il motivo del suo trasferirsi in Uruguay.
‘Sguardi sul mondo’
“Questo di varcare l’oceano alla mia età, d’invocare la sorte, la buona fortuna in un lontano Paese mentre forse avrei bisogno e diritto al riposo, è un vero e grande sacrificio”, scrive Guidini in una delle sue lettere. Il ritorno, datato 1913, è la fine della sua operosità e pure quella del documentario. Sfogliati i diari di quel viaggio, da Gibilterra fino all’arrivo nella “terra tanto desiderata” e ritorno, Cerri chiude tra poesie e sonetti del Guidini dedicati ai suoi cani, declamati dal pronipote, e ci dà appuntamento a venerdì 18 febbraio alle 20, ‘prima’ dell’opera nell’Auditorio del Teatro dell’Architettura di Mendrisio alla presenza sua e di Christoph Frank (direttore Isa), Silvana Bezzola Rigolini (produttrice Rsi) e Samanta Gandolfi Branca (produttrice Céleste Image). Domenica 20, su Rsi La2, la prima televisiva all’interno di ‘Sguardi sul mondo’.
«Mi sono appoggiato agli storici per capire», conclude Cerri. «Mi auguro che l’ingenuità con la quale mi sono posto nei confronti della storia sia utile allo spettatore. Non credo si tratti di un film per addetti ai lavori, ma di qualcosa che possa interessare anche chi di architettura non sa nulla». Il regista dice bene, anche perché primo destinatario del suo effetto-memoria: «Questo lavoro ha cambiato il mio sguardo verso le città: ora, se mi ritrovo in una città nuova, sento addosso una sensibilità diversa, una curiosità che mi porta a notare stili, soluzioni, elementi». Un ultimo cenno alla vita di cantiere: «Interessantissima. L’immagine dell’anziano fermo a guardare ha pienamente senso…».